mercoledì 18 marzo 2015

EPOPEA DI GILGAMESH, INTERPRETAZIONE



Tavola VI dell'Epopea di Gilgamesh (fonte foto link)
L'epopea di Gilgamesh è il poema epico più antico nella storia dell'umanità, o perlomeno il più antico ad essere arrivato fino ai giorni nostri. La versione più completa di questa straordinaria opera venne scritta in lingua accadica su dodici tavole d'argilla durante il periodo babilonese (circa 1200. a.C.), mentre gli episodi che compongono l'opera classica babilonese derivano da racconti singoli appartenenti alla letteratura sumera (prima del 2000 a.C.), che a loro volta derivano dalla tradizione orale mesopotamica (prima del 3000. a.C.)


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EPOPEA DI GILGAMESH (traduzione completa dell'opera)

INTERPRETAZIONE DELL'OPERA

Questo poema epico, rispetto alle opere più moderne, è caratterizzato da una narrazione secca e sbrigativa, ma non priva di una grande profondità poetica, che apre la strada a numerose interpretazioni che non possono far altro che lasciare meravigliati.
Durante una prima lettura potrebbe sembrare che il tema centrale dell'opera sia la ricerca dell'immortalità, la morte e il suo impossibile superamento, ma analizzando il testo con più attenzione emergono altri aspetti molto significativi. Girgamesh, l'impulsivo ed egocentrico re di Uruk, inizialmente è un eroe alla ricerca della fama, poi, dopo aver conosciuto l'amico Enkidu e pianto la sua scomparsa intraprende un lungo e pericoloso viaggio alla ricerca della vita eterna. Le sue imprese non sono più rivolte al conseguimento della fama, ma determinate dal voler trovare un rimedio all'inquietudine che è scesa nel suo animo dopo la morte di Enkidu e dopo aver preso consapevolezza del fatto che questo è un destino inevitabile anche per lui. Il lungo viaggio itinerante dell'eroe si sposta pero' piano piano su un'altro livello, quello spirituale, raccontando un cambiamento interiore. Gilgamesh fa ritorno ad Uruk senza aver raggiunto il suo scopo, tuttavia non lo fa da eroe sconfitto in quanto torna come uomo saggio, elevato ad un altro livello di consapevolezza. Il primo a sottolineare questo aspetto è stato l'archeologo e assirologo Giorgio Buccellati definendo Gilgamesh un eroe sapienziale.
Alla luce di questa interpretazione appare evidente che il tema centrale dell'opera è il cambiamento spirituale, mentre il tema della vita e della morte (dell'essere e non essere) viene immediatamente dopo. La prima parte dell'epopea, in cui viene descritto il susseguirsi di imprese compiute da Gilgamesh, rappresenta "l'essere", mentre lo smarrimento dell'eroe davanti alla morte del fedele amico Enkidu rappresenta il "non essere", il contrasto che ne deriva riassume appunto le più grandi paure che risiedono nell'animo di ogni uomo, la morte e il suo impossibile superamento. Di fronte a queste paure "l'essere" si rivolta, cercando il modo di non venire annullato. Ma il fallimento è inevitabile per via dell'impossibilità di raggiungere l'immortalità.


fonti:
saggio di Giorgio Buccellati "Gilgamesh in chiave sapienziale". "Oriens Antiquus" XI (1972): 34
http://it.wikipedia.org/wiki/Gilgame%C5%A1

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